Le conseguenze della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 %

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sta pensando di colpire, dal 1 Maggio, ulteriormente le cosiddette rendite finanziarie, ad eccezione di quelle derivanti dagli investimenti in titoli di stato, per recuperare 2,6 miliardi di euro che servono per fare scendere del 10% l’Irap alle imprese; questo, tra l’altro, è quanto ha reclamato anche Confindustria.

Ebbene viene da chiedersi se sia così certo che le risorse derivanti dalla maggiorazione delle imposte sugli interessi obbligazionari e bancari dal 20 al 26 per cento saranno in grado di coprire completamente il taglio dell’Irap e se non favorirebbe una fuga all’estero dei capitali investiti o investimenti verso i titoli di stato.

In particolare, se ad essere colpite saranno le rendite, i capitali se ne andranno all’estero poiché, le imprese più grandi non riscontrano alcuna difficoltà ad aprire sedi nei cosiddetti paradisi fiscali dove il fisco è meno soffocante del nostro.

Ma non è finita qui, un aumento della tassazione al 26%, infatti, non andrebbe ad avere ripercussioni solo sulle obbligazioni, ma anche sugli interessi previsti sui conti correnti e sui conti deposito, oltre che sul prelievo relativo alla distribuzione di utili da partecipazioni.

La conseguenza sarebbe un’anomala alterazione del sistema che costringerebbe inevitabilmente i piccoli risparmiatori, da un lato, e le aziende, dall’altro, a ridurre il livello di liquidità sia sui conti di natura bancaria che su quelli postali. Ciò a discapito, soprattutto, degli istituti di credito che utilizzano questi soldi per impiegarli nelle attività ordinarie, in caso di erogazione di finanziamenti, e via in questa direzione.

In altre parole, la scarsa competenza di Renzi in materia finanziaria e fiscale è evidente in quanto non ha calcolato che alzando la tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento, nello stesso tempo senza sfiorare quella sui titoli di stato, si darebbe vita ad un ulteriore allargamento, seppur indiretto, dello spread tra rendimenti dei BTP nonchè delle obbligazioni bancarie.

Tutto questo renderebbe necessario da parte delle banche, di rifinanziarsi a costi maggiori di quelli dei titoli di stato in modo tale che gli investitori, essendo pari il rischio, siano in ogni caso più attirati dalle obbligazioni bancarie anziché dai BTP.

Può darsi che Matteo Renzi faccia un passo indietro e comprenda l’errore in cui sta incappando. Ad ogni modo, almeno per il momento, appare essere più che convinto di quanto sta per fare. Non resta dunque che attenderne le eventuali conseguenze.

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