Cosa succede nel caso l’esportatore abituale riceve fattura con Iva in presenza di dichiarazione di intento?
Secondo quanto stabilito dalla Ctp di Terni nella sentenza 121.01.17, depositata lo scorso 12 giugno, l’esportatore abituale non ha diritto alla detrazione dell’iva.
Emissione fattura con iva in presenza di dichiarazione di intento
Il caso è quello di un esportatore abituale che, nonostante la presentazione della dichiarazione d’intento ha ricevuto da alcuni fornitori fatture con iva. Questo presentava richiesta di rimborso ma l’Ufficio considerava il credito non spettante, ritenendo i fornitori obbligati a fatturare senza applicazione dell’Iva ex articolo 8, comma 1, lettera c), del Dpr 633/1972.
La Ctp conferma tale tesi, prospettando le alternative della nota di variazione di cui all’articolo 26 del Dpr 633/1972 o del rimborso al fornitore dell’Iva versata in eccesso, salva la possibilità per il cliente di rivalersi civilisticamente sul primo.
Il ragionamento della Ctp poggia sull’insegnamento della Corte Ue (causa C-342/87), seguito dalla Cassazione (sentenza 12547/01), in base al quale la somma indicata in fattura non può qualificarsi come Iva se le operazioni sottostanti non rientrano nel campo di applicazione del tributo (perché effettuate da soggetto non passivo, oggettivamente escluse o non territoriali), se sono imponibili ad aliquota ridotta ovvero se esenti.
L’estensione di tali principi all’esportatore abituale non appare tuttavia ragionevolmente fondata. Quand’anche su opzione possa divenire non imponibile, l’operazione tra fornitore ed esportatore rientra oggettivamente nel campo
di applicazione dell’Iva. Il regime di “sospensione” non concretizza un’agevolazione in senso tecnico, ma continua a integrare pienamente i presupposti dell’imposta.
Negare il diritto alla detrazione in presenza di fattura emessa comunque con Iva creerebbe un’evidente asimmetria di trattamento rispetto ai casi in cui opera il meccanismo di addebito ordinario, ovvero qualora il contribuente non adotti il regime oppure, pur espressa l’opzione, il fornitore non abbia ancora ricevuto lettera di intento. Con conseguente violazione del principio di neutralità, centrale nel funzionamento del tributo, che esclude la detraibilità
dell’Iva erroneamente addebitata solo qualora non vengano integrati i presupposti impositivi o sia dovuta un’aliquota inferiore o l’operazione sia esente.
Oltretutto l’addebito dell’Iva nonostante l’invio della dichiarazione d’intento non genera danno per l’Erario, causando invece un’esposizione finanziaria all’esportatore.
Negare il diritto alla detrazione pregiudicherebbe la stessa ratio del regime di acquisto “in sospensione” che opera quale mera anticipazione del recupero dell’Iva altrimenti garantito, in via ordinaria, tramite la detrazione o il rimborso.
Escludere la detrazione presuppone peraltro l’obbligo del fornitore di adeguarsi all’opzione manifestata dal cliente, potendo emettere solo fatture non imponibili.
In difetto di sanzioni specifiche, se il fornitore non è punibile quando fattura “erroneamente” con Iva non si vede perché l’Iva addebitata non debba essere recuperabile. Se è vero che neutralità, effettività e non discriminazione
non ostano a una normativa che legittimi soltanto il fornitore a chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato a titolo di Iva, circoscrivendo il rimedio per il destinatario della cessione o prestazione alla ripetizione civilistica nei confronti della controparte (Corte Ue, causa C-35/05), qualora ciò divenga impossibile o eccessivamente difficile
gli Stati devono prevedere strumenti per consentire al destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata.
Sotto tale profilo, l’effettività delle misure di tutela individuate dalla Ctp potrebbe apparire manchevole posti il breve termine per la variazione ex articolo 26 del Dpr 633/1972 e i costi e la durata del processo civile. Parrebbe più in linea con i principi unionali consentire la detrazione dell’Iva “erroneamente” fatturata laddove non vi sia alcun rischio di perdita di gettito.