Contratto a tutele crescenti, ecco come funziona

Il Jobs Act, il piano per rilanciare l’occupazione proposto dal governo Renzi lo scorso gennaio, contiene importanti novità nel campo della contrattualistica relativa al rapporto di lavoro.
L’elemento innovativo intorno al quale si è sviluppato un ampio dibattito politico è il nuovo contratto unico, altrimenti detto contratto a tutele crescenti.

Lo scopo principale di questo nuovo strumento contrattuale è la riduzione del precariato nelle fasce più giovani della popolazione lavorativa. Negli ultimi anni infatti, complice la crisi economica, la precarietà tra i giovani è aumentata a dismisura soprattutto a causa delle forme contrattuali flessibili, come ad esempio il lavoro a progetto.
Nonostante questo tipo di contratto sia largamente noto alle cronache per gli intensi battibecchi politici che ha generato dopo la sua inclusione nel Jobs Act, in realtà esso era già stato proposto in alcuni governi passati da vari economisti, come ad esempio il noto Tito Boeri. La proposta però è riuscita a concretizzarsi solo ora grazie ad un emendamento del senatore Pietro Ichino.

Il contratto a tutele crescenti è un contratto a tempo indeterminato che conferisce al datore di lavoro la possibilità di interrompere in qualunque momento e senza una motivazione (ma rispettando il periodo di preavviso) il rapporto di lavoro durante i primi tre anni dall’inizio del contratto. Si possono quindi considerare questi tre anni come un lunghissimo periodo di prova durante i quali l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori risulta come congelato (ovviamente l’articolo in questione sarà sempre effettivo nel caso di licenziamenti discriminatori).
E’ un contratto a tempo indeterminato meno rigido di quello tradizionale: all’inizio le garanzie per i lavoratori sono minime e poi con il passare del tempo aumentano sempre di più. Nel caso il datore di lavoro decidesse di licenziare il proprio dipendente nel corso dei primi tre anni, al lavoratore spetterà un’indennità in denaro pari a due giorni di retribuzione per ogni mese lavorato. Quindi grazie a questa tipologia contrattuale, si creerà un sistema per la tutela del licenziamento per ragioni economiche che avanzerà in modo progressivo: più avanzano gli anni, più sarà oneroso per l’impresa licenziare il lavoratore.

Il dibattito politico sul contratto unico ha nuovamente trovato il proprio fulcro attorno al tema dell’articolo 18. E’ opportuno ricordare che questo articolo riguarda il licenziamento di lavoratori impiegati in imprese che contano più di 15 dipendenti; esso impone il reintegro del posto di lavoro per quei lavoratori che sono stati soggetti a licenziamenti discriminatori. Se invece il licenziamento è per motivi economici, l’impresa deve solo versare al lavoratore un indennizzo in denaro; per i licenziamenti disciplinari, spetta al giudice decidere per il reintegro o meno.
La protesta di opposizione e sindacati viene argomentata sostenendo che, con il contratto a tutele crescenti, l’art.18 perderebbe completamente ogni significato privando il lavoratore di una protezione che in realtà riceve con il sistema contrattuale attuale.

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